GEOGRAFIE COME METODO
Lisa Parola
Una mappa è l’espressione di un desiderio, la forma bidimensionale di una memoria. J.P.
Lucy Lippard nel suo saggio Overlay: contemporary art and the art of prehistory sottolinea quanto la mappa, così come l’arte che la indaga, è fondamentalmente una sovrapposizione legata a un luogo, a un viaggio ma anche a un’idea che è astratta e figurativa, distante e intima. Le mappe sono come istantanee di viaggio, un fermo – immagine e la loro lettura è principalmente legata al nostro bisogno di acquisire una visione del tutto, di situarci e di capire dove siamo. Una relazione dunque, tra corpo e geografia. La ricerca di Julie Polidoro è vicino a queste riflessioni e anche all’analisi che una delle caratteristiche principali dei processi di globalizzazione rispetto alla rappresentazione della geografia contemporanea risiede nella continua ridefinizione di diverse forme e forze. Per questo motivo l’artista sceglie di scomporre le cartografie legate all’immaginario occidentale dando a tutti i paesi eguale dimensione, sciogliendo i territori o, con ritagli, immergendoli in altre forme.
Com’è possibile definire nel contesto culturale un territorio in cambiamento? Un confine o un paesaggio? Attraverso una continua frammentazione delle geografie Julie Polidoro indaga una poetica di confine che nei lavori recenti è inteso come metodo capace di scontornare situazioni di tensione e di conflitto, di divisione e di connessione, di attraversamento e di sbarramento. Il confine, è dunque per Julie Polidoro una porzione di paesaggio abitata da dualità o intrecci nella quale l’artista interviene attivando un processo capace di interagire con contesti in movimento segnati da molteplici forme e cromie che corrispondono a una pratica di posizionamento del sé, della propria fisicità anche rispetto a una dimensione che è politica e poetica insieme. Le sue tele si estendono e disgregano con forme che sono territori rivisitati e che si aprono a un concetto di spazio aperto, poroso rovesciato. Uno sguardo che dall’arte si amplia interrogando anche l’ambito etnografico e antropologico e che si inciampa talvolta su una piega – osservata sia da un punto di vista fisico, visivo che teorico – o un taglio o un’incisione della tela. Azioni minime che modificano in modo radicale l’immagine del paesaggio sul quale l’artista ha deciso di sollevare questioni non solo in merito ai gravi avvenimenti che la riscrittura delle geografie porta con sé, ma evidenziandone anche il rovescio, il negativo, ciò che c’è ma che non riusciamo a vedere.
Seguendo un lungo percorso di decostruzione della cartografia che nella storia dell’arte contemporanea trova i suoi maggiori rappresentanti in Alighiero Boetti e Robert Smithson nei quali lo spiazzamento concettuale è dato da un’operazione manuale di ricamo nel primo e piegatura delle cartine nel secondo; seguendo queste pratiche Julie Polidoro rimette in campo il colore e la ‘piega’: uno spazio e una linea che rimandano a un territorio immaginato, un‘oltre’ che l’arte disegna e scompone. Con la pratica della decostruzione delle geografie e dei paesaggi, J.P. propone allora le sue opere quali strumenti per una riflessione geopoetica intesa quasi come «sociotopia»: l’interazione fisica e simbolica nel quale i soggetti diventano competenti: “per meglio dire, esercitano e sviluppano l’ attitudine a vivere con altri soggetti sul territorio, ad abitare partecipativamente una terra che sentono come loro” (nota) e dove lo spazio liminare e di confine è inteso come processualità complessa e multidimensionale. Un ‘tutto’ che diviene forma, luogo, corpo, spazio e pensiero; una territorialità che si fa corpo come ha suggerito Pierre Sterckx in un testo del 2005 nel quale scrive di opere di quegli anni ma che ancora oggi seguono la stessa pratica: “Polidoro se préoccupe principalement des lieux et des corps, ou plutôt de territorialités corporelles. Un territoire, c’est un corps devenu lieu, le plan de ce corps”.
Note
L. Lippard, Overlay: contemporary art and the art of prehistory (1983)
Angelo Turco, Sociotopie: istituzioni postmoderne della soggettività in Il mondo e i luoghi: geografie delle identità e del Cambiamento (2008)